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La catalogazione e il restauro

Inserito in Scritti

Il progetto per la creazione di un centro di documentazione delle migrazioni di Lampedusa e Linosa si caratterizza per la particolarità della “collezione” su cui l'associazione Askavusa, al principio, e il Comune di Lampdusa  e Linosa in seconda fase, ci chiamavano a intervenire. Un numero cospicuo di oggetti, centinaia, recuperati a partire dal 2009 dall'associazione lampedusana nella discarica di via Imbriacola di Lampedusa, o direttamente lungo la costa.

Dall'inizio della collaborazione al progetto, si è articolato, così, un piano di lavoro collegiale e condiviso, organizzato in fasi successive e autonome, finalizzato a “catalogare” il materiale per creare un archivio. Gli oggetti, appartenenti a tipologie molto diverse tra loro (indumenti, stoviglie, lettere personali, cd musicali, etc), sono stati ordinati perché fossero testimonianza di una tragedia realmente vissuta da persone costrette in fuga dal loro Paese, ed insieme documento politico del lascito di scelte storiche, economiche, culturali, che stanno all’origine dei movimenti migratori del Mediterraneo. Da un lato, dunque, l'urgenza di consegnare alla memoria collettiva un patrimonio culturale e storico che, senza retorica, appartiene all'umanità. Dall’altro, però, anche l’esigenza di sottrarre gli oggetti, i documenti, le immagini, al rischio della feticizzazione, e cioè della loro riduzione a grottesco simulacro di una morte di donne, uomini e bambini rivelata ed ostentata senza pudore, di una vicenda disumanizzata indistinta e massificata, privata di ogni intimità e per questo, al fondo, inavvertibile come reale, come vissuto. Da queste considerazioni nasceva la scelta di un percorso di studio e raccolta ragionato, che affiancasse la funzione della tutelaalla ferma convinzione che, grazie alla traduzione ed allo studio dei documenti catalogati da realizzare con i migranti stessi, l'archivio avrebbe potuto restituire le storie, i percorsi di vita delle persone migranti. L’obiettivo era infatti procedere all'individuazione dei proprietari per restituire loro, in un futuro prossimo, non solo la storia, ma anche gli oggetti stessi, gli album di foto del matrimonio, le lettere personali. 

Il progetto di archiviazione è stato ideato dal professore Giuseppe Basile come passaggio essenziale di un percorso che doveva preliminarmente comprendere le fasi di restauro, messa in sicurezza dei materiali cartacei e digitalizzazione fotografica a fini di studio e ricerca. Gli oggetti sarebbero stati mostrati e resi visibili soltanto dopo, in una sede dedicata ed in condizioni di sicurezza.

Un restauratore di fama internazionale come Basile, che, dopo essersi dedicato alla cura dei capolavori di Giotto e dell'arte moderna italiana, è transitato pioneristicamente al restauro dell'arte contemporanea segnandone il corso, ha, dunque, rintracciato in questa sfida fuori dai consueti canoni di classificazione tradizionale, un valore umanistico fondamentale e, per questo, deciso, negli ultimi anni della propria vita, di dedicarsi al servizio del progetto e dei migranti con l’entusiasmo di un esordiente. 

Il sistema elaborato dall'associazione Isole insieme al prof Basile, si è articolato in una pluralità di fasi di lavoro. La prima fase è stata quella di inventariare in loco, a fini conservativi, gli oggetti. Ma con quali strumenti? Secondo quali criteri? Da dove iniziare e con quale ordine di scelta procedere? Con Basile si è avviata una prima selezione che configura il nucleo iniziale della costituenda “collezione”, qualche decina di oggetti selezionati, anzitutto, a ragione della capacità di rappresentare la tipologia cui appartengono, e così sintetizzare la complessità e la diversità del materiale recuperato; poi in funzione dello stato conservativo, distinguendo quelli deteriorati al punto da necessitare una “lettura” più approfondita, o quelli destinati ad una prima campagna di interventi conservativi e di restauro. Sulla base di tali criteri è stato possibile ottenere due serie: una costituita da oggetti direttamente documentari, ovvero materiali cartacei variamente interpretabili (come lettere, cartoline, diari, foto, appunti, documenti, etc.); l’altra da oggetti indirettamente documentari, scelti per categorie rappresentative (come utensili, indumenti, pentolame, cibo, etc.).

Si è proceduto dunque alla catalogazione vera e propria, ideando una scheda di catalogo ad hoc, uno strumento che potesse comprendere e ordinare informazioni analitiche, tecniche e conservative, nonché di contesto, anche relativamente a “beni” così diversi tra loro. In via sperimentale la scheda è stata costituita intrecciando le voci delle schede OA e D, usate rispettivamente dal Ministero per le opere d’arte e per i disegni, e le voci relative alla scheda per i beni demoetnoantropologici. È emersa fin dall’inizio dei lavori la necessità di riunire più competenze per la lettura e l’interpretazione degli oggetti che andavamo catalogando, attraverso un lavoro di equipe che comprendesse: i migranti stessi, soprattutto per il riconoscimento, la comprensione e la traduzione di utensili e materiali cartacei; Basile e l’associazione Isole; studiosi dell’Archivio delle Memorie Migranti, per l’identificazione e la traduzione dei materiali; nonché l’associazione Askavusa che li aveva recuperati, testimone diretto degli sbarchi di questi anni, in grado di ricostruire le vicende del ritrovo e contestualizzarli anche all’interno delle dinamiche sociali dei lampedusani. 

Il percorso avviato sotto la direzione di Basile, si è concluso con le fasi del restauro e della messa in mostra. La prima è stata possibile grazie alla preziosa collaborazione del Laboratorio di restauro della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, che ha accolto il progetto offrendo le competenze e gli strumenti del suo Laboratorio per i primi materiali che andavamo schedando. Si è trattato di interventi ovviamente conservativi, ma come ha precisato il Direttore Francesco Vergara Caffarelli, nella sua lettera di consegna dei reperti al Sindaco di Lampedusa, “gli interventi che i restauratori del Laboratorio, in accordo con gli organizzatori del nascente Museo, hanno ritenuto di dover mettere in atto, non sono finalizzati al recupero dell’integrità dei manufatti, ma esclusivamente alla salvaguardia e conservazione. Lo scopo è infatti quello di mantenere la condizione attuale del reperto, a supporto della memoria cui è destinato…”

Il 16 luglio 2013, nell'ambito del “Lampedusa in festival”, si è inaugurata a Lampedusa la mostra dal titolo “Con gli oggetti dei migranti”, a cura dell'associazione Isole. L'esposizione ha rappresentato così la tappa conclusiva di questa prima fase operativa relativa al più ampio progetto di costituzione del museo/centro di documentazione delle migrazioni di Lampedusa e Linosa. Non solo una mostra, dunque, che presentasse la collezione di oggetti appartenuti ai migranti e ritrovati sull’isola, ma qualcosa di più impegnativo sul piano culturale, scientifico e sociale. 

L'associazione Isole ha accostato a tale percorso anche un programma di residenze d'artista, invitando l'artista Emily Jacir a Lampedusa per un progetto che ampliasse il nostro sguardo sul presente, a partire dagli oggetti in mostra e per dar loro nuova voce, lavorando sul piano della poetica e dell'immaginario, componenti essenziali in relazione alle dinamiche che l'intervento dell’artista ha voluto innescare. 

Nel complesso, l’esperienza fin qui condotta ha confermato intuizione che l'arte contemporanea, muovendo da una condizione di ascolto, dei luoghi e delle storie, per promuovere e valorizzare il dialogo può rintracciare un valore umanistico fondamentale, comunicabile attraverso linguaggi non consueti, che toccano corde personali, intime e collettive al tempo stesso. Intuizione che da sempre per progetto Isole è ragione fondativa e presupposto sostanziale della ricerca. 

Barbara D’Ambrosio e Costanza Meli

Da “Bibbia e Corano a Lampedusa” a cura di Arnoldo Mosca Mondadori, Alfonso Cacciatore, Alessandro Trivulzi .

Edtrice La scuola 

 

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