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Cause del degrado e conseguenti danni

Inserito in Cappella degli Scrovegni

Le più antiche cause dei danni ai dipinti murali della Cappella vanno ricercate nello stato di abbandono in cui venne lasciato il Palazzo Scrovegni (e la contigua Cappella) tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’’800, quando ormai da 4 secoli non apparteneva più alla famiglia del fondatore.
Si giunse così al crollo del portichetto quattrocentesco antistante la facciata della Cappella (1817) e poco dopo alla demolizione dell’ormai cadente Palazzo (1824).

Le più antiche cause dei danni ai dipinti murali della Cappella vanno ricercate nello stato di abbandono in cui venne lasciato il Palazzo Scrovegni (e la contigua Cappella) tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’’800, quando ormai da 4 secoli non apparteneva più alla famiglia del fondatore.

Si giunse così al crollo del portichetto quattrocentesco antistante la facciata della Cappella (1817) e poco dopo alla demolizione dell’ormai cadente Palazzo (1824).

La Cappella rimase pertanto nel giro di pochi anni priva di protezione su buona parte della facciata e sul fianco sinistro e senza l’appoggio del complesso abitativo cui era collegata in corrispondenza dell’attuale presbiterio, a sinistra. 1)
Come se ciò non bastasse, nel 1885, su decisione unanime del Consiglio comunale (il Comune di Padova era diventato, dal 1880, proprietario della Cappella 2)), venne rimossa la decorazione a fresco della facciata, aggravando la situazione di permeabilità ai fenomeni di umidità del paramento murario in mattoni.
Come conseguenza di tali eventi l’edificio, al momento dell’acquisto, risultava (come documentato da una serie di acquarelli appositamente eseguiti nel 1871) profondamente lesionato soprattutto in corrispondenza della volta, del primo registro della decorazione della parete destra (all’innesto della volta), della controfacciata e dell’arco trionfale.

Questi danni della muratura avevano coinvolto anche le corrispondenti decorazioni pittoriche; in più, altre zone risultavano gravemente danneggiate da infiltrazioni di umidità, tanto che in un paio di casi (Disputa con i Dottori e Andata al Calvario) si era resa necessaria la rimozione e la collocazione su un nuovo supporto mobile (1893-4).
Tra il 1885 ed il 1895 vennero eseguiti, a cura del Comune, imponenti lavori di consolidamento e restauro dell’edificio che pertanto venne salvato dalla rovina.
Nello stesso tempo furono effettuati radicali interventi di restauro della decorazione murale, affidati prima a Guglielmo Botti e poi ad Antonio Bertolli (1869-71 e 1881-97). 3)
I lavori erano stati eseguiti in maniera abbastanza corretta, tenendo conto dei principi e della prassi di restauro di allora, e molto coscienziosa, tanto che non si rese necessario nessun intervento importante sui dipinti fino alla 2° Guerra mondiale (una segnalazione di allarme risulta solo agli inizi del 1936).
Nel 1943 una bomba danneggiò gravemente la vicina Chiesa degli Eremitani ma risparmiò miracolosamente la Cappella. Ciononostante al momento della rimozione delle strutture di protezione delle pareti dipinte si dovettero constatare vari fenomeni di degrado ed in particolare la polverizzazione degli strati di pigmento azzurro ed il loro mescolarsi con la sabbia pulverulenta fuoriuscita dai sacchetti di protezione.
Dopo diversi tentativi (uno dei quali affidato al più noto restauratore del tempo, Mauro Pelliccioli) 4) l’incarico di restaurare il ciclo di Giotto e le altre decorazioni murali venne dato a Leonetto Tintori, che intervenne prima sul Giudizio (1957) e successivamente sul resto della decorazione (1961 – 63), mentre si andavano effettuando operazioni di consolidamento e di presidio statico alla muratura.
Il problema più difficile era quello di impedire la caduta del colore pulverulento che caratterizzava vaste zone del ciclo ed in particolare l’Inferno. Tintori fece ricorso all’uso di prodotti (resine sintetiche) mai prima di allora impiegati nel restauro, con risultati che sul momento apparvero miracolosi ma che dovevano rivelarsi nel tempo disastrosi.
Del resto che le cose sotto questo aspetto non fossero andate bene risultava chiaro già a pochi anni dalla fine dell’intervento. Infatti nel 1971 il responsabile della tutela del monumento, il soprintendente Valcanover, denunciava il degrado a cui il ciclo giottesco andava già incontro, pur tendendo a circoscrivere la causa nel nuovo fenomeno dell’inquinamento. 5)
Ma bisognerà attendere che il terremoto del Friuli (1976) riaprisse vecchie lesioni, sopratutto all’attacco tra la facciata e la parete destra, perché il Ministero prendesse la decisione di affidare all’Istituto centrale del restauro (ICR) il compito di portare a buon fine il “salvataggio” di Giotto. 6)

Indagini e studi per il progetto di restauro

In effetti l’Istituto diede al problema della conservazione dei dipinti della Cappella una impostazione innovativa, capovolgendo la prassi tradizionale che prevedeva l’intervento sul manufatto indipendentemente dallo studio e dall’eventuale intervento di adeguamento dell’ambiente e di conservazione dell’edificio, che invece debbono precedere.
Il metodo di programmazione ed esecuzione delle indagini scientifiche, ad ampio raggio ma strettamente mirate, costituisce tuttora una procedura la cui validità è stata ampiamente dimostrata.
La stessa cosa vale per il modo, articolato e progressivo, in cui sono stati messi in opera i provvedimenti, dai più elementari ai più complessi, ma passando dall’uno all’altro soltanto quando è stata verificata la bontà dei risultati ottenuti.
Una prima serie di indagini scientifiche (rilevamenti microclimatici, definizione del tasso e della tipologia dell’inquinamento chimico e biologico, misurazione di temperatura e umidità superficiale) fu effettuata tra il ’78 ed il ’79 ed i risultati furono resi pubblici in un numero speciale del Bollettino d’Arte Giotto a Padova (1982).
Principale causa di degrado risultò essere l’inquinamento che, interagendo con l’umidità di condensa, particolarmente subdola perché non appariscente, aveva innescato ed alimentava il fenomeno della solfatazione, cioè la trasformazione della calce (principale costituente dell’intonaco) in gesso con conseguente polverizzazione del colore steso sull’intonaco ed in parte da esso assorbito.
Si rendeva necessario pertanto da una parte impedire o quanto meno limitare l’accesso in Cappella degli inquinanti, generalmente mescolati alla polvere e dall’altra impedire che all’interno di essa si concentrasse tanto vapore acqueo da consentire la formazione dell’umidità di condensa: in sostanza bisognava rendere l’ambiente interno della Cappella il più possibile isolato dall’esterno e inoltre rimuovere ogni possibile causa interna di degrado.

Interventi di risanamento dell’ambiente e dell’edificio

I primi interventi – seguendo le raccomandazioni del direttore ICR Giovanni Urbani - furono elementari: schermatura delle vetrate, sostituzione delle lampade a incandescenza con lampade a luce fredda, monitoraggio in continuo delle condizioni microclimatiche e di inquinamento dell’aria.
Furono invece rinviati a dopo la messa in opera di interventi di risanamento dell’edificio (revisione del tetto, coibentazione dei paramenti murari esterni, riassetto delle condizioni idrogeologiche) gli interventi più nuovi e caratterizzanti di tipo ambientale: la chiusura del portone in facciata con conseguente riapertura dell’ingresso laterale in fondo alla parete sinistra (tamponato per motivi di sicurezza dopo la demolizione del Palazzo) e costruzione di un vano polivalente in funzione di filtro tra l’interno e l’esterno della Cappella (Corpo tecnologico attrezzato – CTA).7)
La costruzione di questo vano si rendeva necessaria in quanto non esistevano vani contigui alla Cappella (a parte la sacrestia, troppo piccola e comunque senza aperture verso l’esterno), a differenza di quanto invece accade, per esempio, per il Cenacolo di Leonardo a Milano.
Del resto proprio il precedente del Cenacolo aveva fatto capire che bisognava intervenire anche sul numero dei visitatori, limitandone la presenza all’interno del Refettorio al numero massimo di 25, in considerazione del fatto che ogni visitatore emette respirando una certa quantità di vapore acqueo e può pertanto divenire agente involontario di degrado favorendo il fenomeno della solfatazione.

Interventi propedeutici sulla decorazione pittorica (interventi conservativi d’urgenza, saggi)

Gli interventi volti a rendere idonei alla conservazione delle decorazioni murali della Cappella l’ambiente e l’edificio ebbero inizio nel 1985 e furono portati a conclusione il 31 maggio del 2000, data dell’entrata in funzione del CTA.
Essi erano stati preparati e accompagnati da ulteriori campagne di misurazione dei parametri ambientali e di monitoraggio delle condizioni geognostiche e statiche dell’edificio, ormai divenuti continuativi (“prevenzione permanente”). 8)
In maniera parallela e in stretta interconnessione funzionale erano state effettuate indagini sulle superfici pittoriche, volte soprattutto a misurare l’estensione e il livello di penetrazione della solfatazione nonché a individuare caratteristiche e dislocazione delle resine sintetiche impiegate come fissativi da Tintori nel Giudizio, di cui non era stata data mai notizia, così come non era mai stata pubblicata la relazione sul restauro dell’intero ciclo. 9)
In attesa dei risultati delle indagini e nelle more della esecuzione degli interventi di risanamento dell’ambiente e dell’edificio è stato effettuato un rilevamento sistematico dello stato di conservazione dell’intera decorazione murale e sono state messe in opera le iniziative necessarie ad impedire l’accelerazione del degrado e messe a punto le metodologie e le tecniche di intervento da impiegare al momento in cui sarebbe diventato possibile procedere alle operazioni conservative e di restauro finali (anche se, ovviamente, non definitive).
Pertanto dal 1988 al 1992 (e, successivamente, nel 1997) sono stati effettuati interventi conservativi d’urgenza volti a impedire la perdita di quelle zone in cui la pellicola pittorica era completamente decoesa, mentre nel 1994 fu effettuato un restauro campione completo sul “lunettone” raffigurante la Missione dell’Annuncio a Maria, allo scopo di mettere a punto sia tecnicamente che organizzativamente e finanziariamente il cantiere finale di restauro avendo anche, e soprattutto, la possibilità di valutare nel tempo la durata e la funzionalità delle soluzioni adottate. 10)
Fin dall’inizio però la maggiore attenzione era stata concentrata sulla soluzione del problema più nuovo e difficile, anche perché privo di precedenti: come rimuovere i fissativi Tintori soprattutto dall’Inferno, tenuto conto che essi erano ormai diventati irreversibili e che d’altra parte non li si poteva lasciare dov’erano perché il non intervento non avrebbe interrotto il fenomeno di deterioramento in corso e avrebbe inoltre reso meno adeguata la fruizione di brani ricoperti e spesso nascosti da un crostone giallo-marrone.
Risolto almeno parzialmente il problema mediante impiego di resine anioniche a scambio ionico 11) e verificato con un monitoraggio annuale la funzionalità del nuovo sistema di accesso mediante CTA, si è potuto infine dare inizio, nel luglio 2001, al cantiere di restauro della durata programmata ( e ratificata tramite protocollo d’intesa fra Comune di Padova e Ministero Beni e attività culturali) di 9 mesi. 12)

Interventi conservativi e di restauro sulle decorazioni murali

Oltre all’intervento di asportazione dello strato alterato di fissativi sintetici e conseguente estrazione dei sali (fin dove consentito dalla necessità di non mettere a rischio l’integrità residua dei pigmenti originali) sono state eseguite le seguenti operazioni conservative:
consolidamento degli strati preparatori;
rimozione dalla superficie pittorica di materiali coerenti e incoerenti depositatisi nel tempo (polveri atmosferiche) o sovrammessi a fini conservativi (per “fissare” la pellicola pittorica) ovvero a fini estetici (tinteggiatura delle stuccature “a neutro”) e ora alterati;
trattamento conservativo dei 3200 chiodi impiegati a fine ‘800 per ancorare gli intonaci staccati al supporto murario (si è proceduto alla rimozione della stuccatura, peraltro alterata, sopra la testa dei chiodi, al loro isolamento ed alla ristuccatura e velatura a livello dell’intonaco sovrastante).
Si è ovviamente dato la precedenza alle zone a massimo rischio, che costituivano il 40% dell’intera superficie dipinta: la controfacciata con il Giudizio universale e in particolare la parte destra con l’Inferno; il primo registro della parete sinistra della navata e la parte adiacente della volta; i due riquadri staccati (Cristo fra i Dottori e Andata al Calvario); il primo registro della parete sinistra del presbiterio, con il Preannuncio della morte di Maria e la volta contigua.
Quanto all’intervento di restauro in senso proprio, quello cioè teso a restituire per quanto possibile (e quindi anche solo potenzialmente) la forma del testo pittorico originario, si è cercato di ricostituire l’unità dei due elementi portanti dell’intero ciclo giottesco (la finta architettura dipinta e il fondo azzurro presente dovunque fuorchè nello zoccolo e nell’Inferno), ricorrendo alle due diverse tecniche di reintegrazione delle lacune messe a punto più di mezzo secolo fa dal fondatore e primo direttore ICR Cesare Brandi.
Si tratta, com’è noto, del “tratteggio” (tratti colorati sottili, dritti, paralleli, verticali) e dell’”abbassamento ottico” delle lacune, rispondenti agli stessi criteri di reversibilità e di riconoscibilità ma differenti per il fatto che il primo ricostituisce il tessuto pittorico mancante, anche se in maniera astratta e pertanto assolutamente riconoscibile come intervento di restauro (almeno da vicino), mentre l’altro tende a limitare l’invasività della lacuna, facendola retrocedere verso il fondo mediante scurimento, pur lasciandola sempre percepibile come mancanza di colore.
Si è fatto ricorso al tratteggio per reintegrare la finta architettura, dato che un elemento architettonico non integro si configura, anche solo incosciamente, come un controsenso, mentre tutte le altre lacune, ed in particolare quelle in corrispondenza dell’azzurro, sono state “abbassate”.
Si è fatto eccezione soltanto in pochissimi casi, in particolare per le lacune insistenti contestualmente sia sulla finta architettura che su altri elementi figurativi (soprattutto l’azzurro) per evidenti motivi di omogeneità e per la lacuna sulla veste della Vergine Annunziata, in considerazione della sua invasività, dell’integrità del resto dell’immagine e della sua ricostruibilità senza ricorrere a forzature o supposizioni.
Quanto agli interventi di reintegrazione effettuati nel corso dei precedenti restauri sono stati mantenuti quelli rispondenti ai criteri suesposti ed in particolare quello (con ogni verosimiglianza dovuto al Botti) in corrispondenza della parte destra dell’arco trionfale, mentre sono state rimosse tutte quelle “a neutro” dato che le preoccupazioni di distinguibilità da cui avevano avuto origine possono essere ugualmente garantite dalle tecniche prima citate senza però la sovrammissione violenta al tessuto pittorico da esse operato.

Interventi conservativi e di restauro sulla tavola con Dio Padre

Il manufatto è costituito da due assi di pioppo tenute assieme da chiodi di legno. Il fatto poi che non possiede incamottatura (tessuto in funzione ammortizzante), ha una preparazione sottilissima e non presenta tracce di vernice conferma la supposizione che Giotto abbia voluto farlo il più possibile analogo, come effetti, alla rimanente decorazione murale. Nel corso di un intervento di epoca imprecisata è stata inchiodata sul retro del supporto una traversa, che aveva finito per bloccare i movimenti del legno favorendone le spaccature. 13) Anche la funzione di sportello ha influito negativamente sulla conservazione dell’opera che pertanto è giunta fino a noi profondamente danneggiata. In particolare erano presenti numerosissime lacune sia della pellicola pittorica che della preparazione; inoltre il dipinto era stato “intonato” nel corso di un precedente restauro, molto probabilmente per camuffarne lo stato di larva cui era ridotto se si eccettuano il volto e, parzialmente, le mani.
Sono stati effettuati i seguenti interventi:
- disinfestazione del supporto in legno
rimozione della traversa rigida e sostituzione di essa mediante due piccole traverse scorrevoli in apposite sedi
risanamento del supporto in corrispondenza delle zone mancanti per danni meccanici o per degrado dovuto alle inidonee condizioni ambientali
rimozione della “intonatura” azzurra e conseguente recupero di materiali originali
reintegrazione delle lacune sia mediante tratteggio che mediante abbassamento ottico del legno del supporto in vista
Sono stati inoltre restaurati la statua e relativa nicchia di Enrico Scrovegni in preghiera, il monumento funebre dello stesso, tutti i manufatti lapidei fissi della Cappella, gli altari e gli amboni; è stato inoltre rivisitato il restauro delle 3 statue di Giovanni Pisano Madonna con Bambino e 2 Diaconi cerofori effettuato nel ’93. 14)

 

Il restauro della cappella degli Scrovegni

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