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La decorazione pittorica della navata della Cappella Scrovegni

Inserito in Cappella degli Scrovegni

La decorazione pittorica della navata della Cappella Scrovegni costituisce senza dubbio una delle realizzazioni artistiche più importanti del mondo occidentale.
La superficie dipinta è di circa 900 mq, ed occupa la volta, le due pareti laterali, l’arco trionfale e la controfacciata. Vi sono rappresentati più di 100 soggetti, tra cui molti busti di profeti e di santi, ma la parte principale è costituita dalle 40 scene nelle quali sono raffigurati gli episodi più significativi della vita di Maria e di quella di Gesù fino alla morte ed alla resurrezione, mentre sullo zoccolo sono rappresentate – in forma di finte statue – su una parete le Virtù che conducono al Paradiso, e su quella opposta i Vizi corrispondenti; infine, nella controfacciata, il Giudizio Finale.

La decorazione pittorica della navata della Cappella Scrovegni costituisce senza dubbio una delle realizzazioni artistiche più importanti del mondo occidentale.

La superficie dipinta è di circa 900 mq, ed occupa la volta, le due pareti laterali, l’arco trionfale e la controfacciata. Vi sono rappresentati più di 100 soggetti, tra cui molti busti di profeti e di santi, ma la parte principale è costituita dalle 40 scene nelle quali sono raffigurati gli episodi più significativi della vita di Maria e di quella di Gesù fino alla morte ed alla resurrezione, mentre sullo zoccolo sono rappresentate – in forma di finte statue – su una parete le Virtù che conducono al Paradiso, e su quella opposta i Vizi corrispondenti; infine, nella controfacciata, il Giudizio Finale.

Il significato generale è che solo meditando ed imitando l’esempio di Cristo, morto sulla croce per riscattare i nostri peccati, si possono evitare le pene dell’Inferno, proprio come mostra con evidenza estrema il committente dell’opera , Enrico Scrovegni, fattosi raffigurare appunto dalla parte dei salvati nel Giorno del Giudizio mentre offre alla Madonna la Cappella.

L’opera aveva anche un significato (ed uno scopo) molto più concreto e terreno, dato che costituisce nello stesso tempo una sorta di “manifesto” politico mediante il quale l’uomo più ricco di Padova (e uno dei più ricchi di quel tempo) affermava la propria intenzione e ambizione a farsi signore della sua città, affidandone in maniera significativa la realizzazione al più celebre pittore italiano dell’epoca, Giotto di Bondone, che la portò a termine in meno di 2 anni, entro il 25 marzo del 1305.

Le cose poi andarono in maniera differente (signore di Padova sarebbe divenuto, da lì a qualche anno, Francesco da Carrara ed Enrico sarebbe stato costretto a riparare in esilio a Venezia), ma la decorazione pittorica della Cappella viene considerata tuttora l’opera che fonda la tradizione artistica moderna in Occidente.
Nell’opera, infatti, il tema della Salvazione, in sé abbastanza comune, viene trattato alla luce di una trama teologico-filosofica così complessa e articolata da avere fatto sospettare, plausibilmente, la presenza di un “consigliere culturale” particolarmente dotto, che potrebbe essere benissimo individuato (come è stato proposto da più parti) nell’ecclesiastico che regge la Cappella offerta da Enrico alla Vergine, ancora oggi però non identificato in maniera incontestabile. Solo così sembra potersi spiegare la presenza di soggetti assai rari nella pittura dell’epoca (ed anche in quella che seguirà), quali Dio Padre che ordina all’arcangelo Gabriele di portare l’annuncio della prossima maternità a Maria o Gli angeli che arrotolano i cieli a conclusione del giorno del Giudizio Universale, o addirittura la presenza di significativi fenomeni luminosi, quale quello che interessa, il 25 marzo di ogni anno (ricorrenza della festa della Annunciazione e della consacrazione dell’edificio), la scena della Dedicazione della Cappella (l’altro, che interessava invece l’immagine di Dio Padre in trono, dipinto su uno sportello di legno, e il Cristo Giudice nel Giudizio Universale, non è più riscontrabile perché, a seguito dell’aggiunta del presbiterio e dell’abside, ora lo sportello si apre su un ambiente chiuso invece che, come in origine, all’esterno).

Merito esclusivo di Giotto è stato però quello di avere creato delle forme nuove rispetto alla tradizione ancora dominante dell’arte bizantina, non solo (come vuole la leggenda) per la sua capacità di rappresentare in maniera “ naturale” la realtà, ma anche (e soprattutto) per la sua genialità nel cogliere le potenzialità insite negli aspetti più innovativi della cultura dell’epoca, ed in particolare il recupero sempre più approfondito delle forme espressive dell’arte romana antica e l’approccio scientifico nell’intento di rendere il più razionale possibile la rappresentazione della realtà.

Riesce così a Giotto di “rimodellare” profondamente i temi figurativi tradizionali ( e ancora oggi vigenti) e di anticipare, intuitivamente e nelle linee principali, di un secolo quella che, nel Quattrocento, sarà l’innovazione più importante nella struttura formale delle arti figurative in Europa, cioè la prospettiva geometrica.
Queste attitudini trovarono un supporto imprescindibile nella stupefacente maestria tecnica di Giotto (anch’essa rispecchiata dalla leggenda), che gli consentì di impiegare nella Cappella tutte le tecniche di pittura murale, compresa quella ad olio (allora ancora rarissima in Italia) e perfino, riscoprendola, quella dello “stucco romano”, la cui pratica si era persa durante l’epoca medievale.

L’opera rappresenta il punto più alto e significativo nella produzione vastissima del Maestro fiorentino, sia rispetto ad opere precedenti come le Storie francescane nella Basilica Superiore di S. Francesco in Assisi (anche se non tutti gli studiosi sono convinti della sua paternità) che ad opere successive, quali in particolare le decorazioni delle Cappelle Peruzzi e Bardi nella chiesa di S. Croce a Firenze.

La novità dell’opera di Giotto fu subito riconosciuta dai più importanti intellettuali dell’epoca, a cominciare da Dante Alighieri, ed è rimasta nei secoli sostanzialmente inalterata, mentre proprio le pitture della Cappella Scrovegni hanno costituito da sempre fonte di ispirazione per molti dei più grandi pittori italiani, da Masaccio a Piero della Francesca, da Mantegna a Raffaello a Michelangelo su su fino al secolo appena trascorso, anche fuori d’Italia (per esempio da parte dei muralisti messicani).

Il ciclo aveva subito nel tempo gravi danni soprattutto a causa dell’incuria degli ultimi proprietari, i Foscari Gradenigo, che erano arrivati al punto di demolire (1824) il palazzo costruito sui resti dell’arena romana, privando così di sostegno e protezione la Cappella. Un primo, radicale restauro ebbe luogo alla fine dell’’800 (Guglielmo Botti e Antonio Bertolli), dopo che l’edificio era stato acquistato dal Comune di Padova (1881), cui ne seguì un secondo agli inizi degli Anni ’60 del sec. XX (Leonetto Tintori), e infine da parte dell’Istituto Centrale del Restauro (2001-2002).

Il restauro della cappella degli Scrovegni

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