Questo sito utilizza cookie di funzionalità e cookie analitici, anche di terze parti, per raccogliere informazioni sull'utilizzo del Sito Internet da parte degli utenti. Chiudendo questo banner acconsenti all’uso dei cookie.

Lo sportello con "l'Eterno"

Inserito in Cappella degli Scrovegni

Si tratta di una delle zone finora meno note e comunque ritenute poco significative dell’intera decorazione della Cappella.

Per cercare di capire il perchè bisogna tenere conto dell’anomalia di una pittura su tavola in un complesso di decorazione pittorica murale, non spiegabile neppure con l’esigenza di ottenere effetti diversi perché anzi, al contrario, l’artista fa di tutto perché essa non sia difforme dal resto del ciclo;

 

L’OPERA: lo sportello con l’”Eterno che ordina all’arcangelo Gabriele di annunciare a Maria la sua prossima maternità”

Si tratta di una delle zone finora meno note e comunque ritenute poco significative dell’intera decorazione della Cappella.

Per cercare di capire il perchè bisogna tenere conto dell’anomalia di una pittura su tavola in un complesso di decorazione pittorica murale, non spiegabile neppure con l’esigenza di ottenere effetti diversi perché anzi, al contrario, l’artista fa di tutto perché essa non sia difforme dal resto del ciclo; della difficoltà di capire la funzione di uno sportello posto a 10 metri d’altezza, inaccessibile dall’interno e di difficile accesso dall’esterno, una funzione che pure doveva essere importante se si era dovuti ricorrere ad un cambiamento radicale in corso d’opera (come dimostra la traccia di sinopia di una “mandorla” che avrebbe dovuto racchiudere l’Eterno alla stregua del Cristo Giudice dirimpettaio); infine della difficoltà di studiarla a causa della scarsissima agibilità e del pessimo stato di conservazione  aggravato da un troppo invasivo intervento di restauro che aveva finito coll’alterarne l’aspetto.

La scoperta di 3 specchietti rotondi nell’aureola del Cristo Giudice, sito sulla controfacciata (cioè nella parete di fronte all’arco trionfale), ha aperto la strada a nuove ipotesi ed in particolare a quella di una funzione da “effetto speciale”, al fine di  accentuare la terribilità del Cristo, che poteva scattare in quei determinati momenti dell’anno in cui i raggi del sole si muovevano lungo una traiettoria tale da colpire frontalmente l’aureola – tenendo però conto che la situazione dell’ambiente dietro lo sportello è cambiata da quando sono stati costruiti il presbiterio e l’abside, mentre in origine non esisteva l’abside ed al posto del presbiterio c’era una torre campanaria che non arrivava al vano della finestra.

La verosimiglianza di un tale effetto sembra essere confermata da un altro effetto solare, scoperto più di 10 anni fa e poi controllato anno per anno, e che consiste nel fatto che il 25 marzo, data della consacrazione della Cappella alla Vergine Annunziata, una lama di sole penetra dalla finestra laterale più vicina alla controfacciata, si posa sui Beati e gli Eletti e poi attraversa l’esiguo spazio tra la mano di Enrico e quella della Vergine prima di scomparire nel vano buio del portone.

Quanto al restauro, ci si trova di fronte ad un manufatto che presenta caratteristiche piuttosto semplificate rispetto ad un tipico dipinto su tavola. Esso infatti é bensì costituito di due assi di pioppo tenute insieme da chiodi di legno, ma non possiede incamottatura, cioè quello strato (generalmente un tessuto) collocato tra il legno e la preparazione alla pellicola pittorica, ha una “preparazione” sottilissima e non presenta tracce di vernice: a conferma della supposizione che Giotto abbia voluto farlo il più possibile analogo – come effetti – alla rimanente decorazione murale.

Nel corso di un intervento di epoca imprecisata é stata inchiodata sul retro del supporto una traversa, che aveva finito per bloccare i movimenti delle fibre del legno favorendone le spaccature.

Anche la funzione di sportello ha influito negativamente sulla conservazione dell’opera, che pertanto è giunta a noi profondamente danneggiata. In particolare erano presenti numerosissime lacune sia nella pellicola pittorica che nella “preparazione”; inoltre il dipinto era stato “intonato” nel corso di un precedente restauro, molto probabilmente per camuffarne lo stato di larva cui era ridotto -  se si eccettuano il volto e, parzialmente, le mani.

Sono state effettuate le seguenti operazioni:

  • disinfestazione del supporto in legno
  • rimozione della traversa rigida e sostituzione di essa mediante due piccole traverse scorrevoli in apposite sedi
  • risanamento del supporto in corrispondenza delle zone mancanti per danni meccanici o per degrado dovuto a umidità o ad attacchi biologici
  • rimozione della “intonatura” azzurra e conseguente recupero di zone di “preparazione” originali
  • reintegrazione delle lacune sia mediante tratteggio (in corrispondenza di quelle più piccole e ricostruibili senza forzature) che mediante abbassamento ottico del legno del supporto al fine di attenuarne l’invadenza visiva ed il conseguente disturbo alla lettura dell’immagine.
  • Ad intervento ultimato risulta confermata l’autografia giottesca: si vedano particolari straordinari come le mani, ancora più evidenti nelle immagini all’infrarosso, o motivi decorativi di grande eleganza o, infine, la complessa impostazione spaziale del trono (se ne mostra qui una ipotesi ricostruttiva).

Resta ora da risolvere un importante problema: se è più opportuno esporre il dipinto nel contiguo museo degli Eremitani (o magari nella sacrestia della Cappella) mettendo al suo posto una copia o piuttosto ricollocare il manufatto al suo posto, ricontestualizzandolo e fermo restando che ne sarebbe garantita la conservazione nella teca microclimatica in cui si trova dal momento della fine del restauro.

DIPINTO SU TAVOLA: Materiali e tecnica esecutiva

Caratteristica principale del dipinto su tavola è la compresenza di un materiale che non cessa mai di “vivere” (il legno) e di altri per natura inerti (gesso, pigmenti minerali) o che comunque reagiscono diversamente alle variazioni delle condizioni microclimatiche (tela, colla, pigmenti animali e vegetali, oli, vernici).

Ciò imponeva una cura estrema nella scelta e messa in opera dei materiali.

Il legno (in Italia generalmente pioppo) doveva essere pertanto ben stagionato e le assi migliori erano quelle ottenute tagliando il tronco in corrispondenza del centro (taglio radiale), mentre quelle più esterne (taglio tangenziale) erano assai più soggette a deformarsi.

Le assi venivano poi assemblate mediante incastri e pioli in legno, incollate e, in caso di tavole di notevoli dimensioni, sorrette sul retro da una struttura di sostegno costituita generalmente da due o più traverse (assi poste trasversalmente a quelle del supporto) incassate o – meno correttamente – applicate mediante chiodi.

La funzione di strato ammortizzante fra legno e pellicola pittorica venne svolta a lungo dalla tela, incollata sull’intera superficie anteriore del supporto o solo in corrispondenza delle commessure delle assi (in Italia usata fino a tutto il ‘200 e ancora nel ‘300) e comunque dalla preparazione, una serie di strati di gesso e colla che avevano anche lo scopo di predisporre una superficie liscia e compatta per la pittura.

La tecnica più diffusa della pittura su tavola è la tempera ad uovo, mentre assai tarda  risulta quella ad olio e rarissimi gli esempi di encausto.

Quanto al procedimento, quando la preparazione era ben asciutta (e se l’opera doveva avere, come generalmente accadeva, il fondo dorato) si delimitavano le parti della superficie da ricoprire con la pittura e si procedeva alla doratura a bolo, che permetteva la brunitura: venivano stesi più strati successivi di un materiale argilloso (bolo armeno), sul quale veniva applicata la foglia d’oro, lucidata passandovi sopra ripetutamente un attrezzo duro, compatto, capace di scivolare su di essa senza danneggiarla (pietra d’agata, dente di lupo, etc.).

Finita la doratura – sulla quale venivano anche eseguiti motivi decorativi utilizzando punzoni, ceselli, etc. – si passava a trasferire sul resto della preparazione il disegno preparatorio e infine a dipingere, prima vesti e panneggi vari, poi gli incarnati, cioè le parti del corpo non coperte (generalmente mani e volti).

Oltre a quelli usati su muro (terre di vario colore, ocre, azzurrite, neri e lacche di origine organica, biacca, minio, cinabro), su tavola venivano impiegati anche altri pigmenti, come l’indaco, il resinato di rame, il lapislazzuli.

A pittura asciutta (cioè dopo parecchio tempo dall’aver finito di dipingere) si stendeva la vernice, con funzione protettiva e ravvivante.

 

Il restauro della cappella degli Scrovegni

© 2012-2023 Giuseppe Basile. Login