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Eccellenze Italiane: l’Arte e il suo Restauro

Inserito in 2011

Interventi su Giotto nella Cappella Scrovegni e a San Francesco in Asssisi alla luce della Teoria del restauro di Cesare Brandi

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PERCHE’  GIOTTO?
 Non capita spesso che un artista venga riconosciuto in tutta la sua grandezza ancora vivo, ma Giotto è ancora nel pieno della sua attività quando Dante Alighieri, il più grande poeta italiano e uno dei maggiori d’Europa, lo cita nel suo poema La Divina Commedia come colui che ha oscurato nella fama il sommo pittore fiorentino Cimabue.
Dopo la morte divenne subito un mito e la sua fama nel corso di questi 7 secoli non è venuta mai meno.
Ma in cosa consiste l’importanza di Giotto?
Giotto pone fine alla pittura medievale e dà inizio alla moderna pittura europea grazie alla sua capacità geniale di accostarsi e di sapere riprodurre con maestria tecnica insuperabile l’uomo nello spazio, nella natura, nei sentimenti: come potete vedere nel confronto con artisti contemporanei o addirittura attivi in periodi più tardi ma ancora legati alla cultura tradizionale che Giotto ha sepolto per sempre.
D’altra parte, la controprova è data dal fatto che non c’è quasi nessun grande artista italiano o europeo che non si sia ispirato alle sue opere – posso mostrarvi solo pochi esempi tratti dal più importante ciclo pittorico di Giotto, la Cappella Scrovegni.

CHE VUOL DIRE RESTAURARE UN’OPERA D’ARTE ?
Se ci si accorge di un guasto, di un malfunzionamento,anche nel caso del nostro corpo, è necessario sottoporsi a riparazione, se si vuole tornare a funzionare.
Naturalmente non sempre si tratta di funzioni di cui non si può fare a meno: se si hanno pochi capelli, per esempio, non c’è alcun rischio per la vita ma senza dubbio se si hanno tutti i capelli ci si sente più a proprio agio.
La stessa cosa vale fondamentalmente per le opere d’arte.
Prendiamo ad esempio la Cappella Scrovegni.
Essa fu fatta dipingere 7 secoli fa, fra il 1303 ed il 1305, da Enrico Scrovegni, uno degli uomini più ricchi di quei tempi, e Giotto vi ha rappresentato in circa 100 soggetti tutta la storia di come l’Umanità, grazie al sacrificio di Cristo sulla croce, è stata redenta dal peccato originale. Vi ho già mostrato dei particolari ed altri ancora avrò modo di mostrarvi : questa è una veduta di quasi tutto l’interno della Cappella  ottenuta con la tecnica del fish eye .
Se veniamo al restauro, è evidente che il buco in alto a destra va riparato se no rischia di allargarsi e far cadere anche la pittura vicina.
Nel caso del particolare dell’Inferno con i dannati, questo rischio non c’è, ma il colore si è ingiallito a causa di un intervento di conservazione errato agli inizi degli Anni Sessanta del secolo scorso e l’alterazione non consentirebbe di apprezzare a dovere la qualità della pittura originale.
In casi del genere le operazioni necessarie sono abbastanza analoghe a quelle che vengono impiegate per qualsiasi tipo di oggetto che rivesta una grande importanza: quindi con tutta una serie di attività preventive, che nel caso della Cappella Scrovegni hanno avuto la durata di circa 20 anni, durante i quali sono state effettuate numerosissime ricerche storiche, indagini scientifiche, interventi di riparazione e protezione dell’edificio fino alla messa in opera di un sistema tecnologicamente avanzato per prevenire ulteriori danni alle preziose pitture.
Ma se ci si trova di fronte a delle situazioni come quelle che qui vedete, cioè di fronte ad opere dal tessuto pittorico non integro, intervenire per ridare completezza all’immagine dipinta non è così semplice come potrebbe sembrare: tanto è vero che generalmente si finiva per compromettere irrimediabilmente proprio quel valore artistico che rende la vera opera d’arte unica e irripetibile, come mostra questa immagine di S. Francesco dipinta da Cimabue nella Basilica di Assisi e “completata” agli inizi dell’Ottocento secondo il gusto del tempo e perciò così diversa da tutte le altre immagini più antiche del Santo.
D’altra parte, volendo rispettare l’autenticità dell’opera, le sole alternative possibili erano quelle di lasciare i vuoti in vista o di camuffarli con la cosiddetta “tinta neutra”, nell’un caso e nell’altro con risultati poco apprezzabili in quanto ne risultava fortemente penalizzata la lettura e quindi il godimento dell’opera.
La soluzione di questo problema costituisce uno dei più importanti contributi alla storia del restauro delle opere d’arte da parte di Cesare Brandi, non a caso considerato universalmente il padre del moderno restauro.
La sua Teoria del restauro, tradotta in tutte le principali lingue del mondo, comprese quelle estremo orientali, a distanza di più di mezzo secolo dalla sua pubblicazione non ha perso nulla della sua vitalità, anche perché è nata e si è man mano consolidata mediante un rapporto quotidiano con l’attività pratica di restauro, dato che Brandi  si trovò a dirigere per ben 20 anni il “neonato” Istituto centrale del restauro a Roma.
Brandi fu anche uno dei più importanti storici e critici d’arte del secolo scorso e inoltre studioso di estetica, profondo conoscitore di tutte le altre espressioni artistiche, grande scrittore, poeta e giornalista: insomma una delle ultime figure di “umanisti “ di cultura europea.
La formulazione del concetto originale di “unità potenziale dell’opera d’arte” e la conseguente messa a punto di due tecniche mediante le quali essa può essere  realizzata in pittura, il tratteggio e l’abbassamento ottico-tonale, hanno dato al problema della reintegrazione delle lacune una soluzione finalmente adeguata.
Ora è venuto il momento di vedere all’opera le due tecniche nella Vergine Annunziata e, rispettivamente, nel Noli me tangere.
 Nella Annunziata è possibile vedere l’effetto di completa ricostituzione del tessuto pittorico alla giusta distanza di osservazione, mentre  da vicino l’orientamento perfettamente verticale della pennellata, per giunta usando l’acquerello,  non consente di scambiarlo per pittura originale o comunque antica.
Nel Noli me tangere mediante la semplice attenuazione delle disomogeneità cromatiche è possibile rileggere i caratteri stilistici fondamentali della scena, in particolare la complessa scansione dei piani in profondità, con l’azzurro di fondo che riacquista la funzione di piano di chiusura prospettica dello spazio, e una resa cromatica degna di un grande maestro colorista, oltre che plastico e volumetrico.
Mi si potrebbe obiettare che, tutto sommato, le opere appena mostrate  si trovavano in uno stato di conservazione accettabile, e che bisogna vedere, però, se le tecniche funzionano altrettanto bene quando le opere trattate sono in cattive condizioni.
Il riquadro con la Salita al Calvario stava talmente male che, nel primo, grande restauro di fine Ottocento lo si dovette “staccare”, cioè rimuovere dal naturale supporto murario, e poi attaccarlo su un nuovo supporto mobile.
A parte le zone evanescenti o del tutto sparite, in particolare i soldati che scortavano Gesù da una parte e dall’altra, erano rimasti chiaramente impressi i segni  dei mattoni della parete sulla quale era stata dipinta la scena. In seguito al trattamento mediante abbassamento ottico-tonale, anche la stranissima croce riassume la sua funzione stilistica fondamentale, dato che il lunghissimo braccio orizzontale serve a segnare la profondità spaziale della scena.
Del resto, che queste due tecniche funzionassero Brandi aveva potuto mostrarlo in occasione degli interventi che l’Istituto Centrale del Restauro era stato chiamato a fare su importanti cicli di decorazione murale ridotti in frammenti dalle bombe durante la II° Guerra Mondiale: anzi, fu proprio allora che quelle tecniche vennero da lui inventate e sperimentate e vengono ancora oggi largamente impiegate.
Ne mostrerò solo un esempio, tratto da uno dei riquadri del ciclo che Andrea Mantegna aveva affrescato nella Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova. Le prime operazioni, precedenti e propedeutiche al restauro, consistono nella ricerca dei frammenti e nel loro riassemblaggio: a questo punto bisogna decidere se ci sono le condizioni per procedere alla ricomposizione della immagine presa in considerazione, voglio dire se è possibile con i frammenti recuperati arrivare ad una restituzione dell’unità potenziale dell’immagine in maniera corretta, cioè senza forzarne la reintegrabilità con il rischio di farne un falso.
In quell’occasione Brandi preferì usare prevalentemente la tecnica del tratteggio in quanto più vicina ( almeno apparentemente) ai tradizionali metodi di riempimento delle lacune in maniera mimetica, ma con l’andare del tempo anche l’altra tecnica è andata assumendo una importanza sempre maggiore, anche perché rappresenta l’unica soluzione corretta nel caso in cui non ci siano i presupposti per ricostruire mediante il tratteggio il tessuto pittorico originario perduto.
Ed infatti ci si è serviti prevalentemente dell’abbassamento ottico-tonale quando l’Istituto centrale del restauro è intervenuto sulla decorazione pittorica della Basilica Superiore di S. Francesco in Assisi in seguito al terremoto del 1997: sia sulle zone rimaste al loro posto che su quelle crollate e quindi ridotte in minuti frammenti.
All’indomani del sisma, dei 180 mq di volta crollata trascinando con sé nella rovina riquadri dipinti dai più grandi pittori italiani del tempo ( Torriti, Cavallini, Cimabue, Giotto giovane) non rimanevano che mucchi di macerie informi, e ci sono voluti 5 mesi di ininterrotto lavoro da parte di restauratori e volontari per recuperare da esse una quantità insperata di frammenti, circa 300.000.
Poi, rifacendoci proprio alle precedenti esperienze di Brandi, si è avviata la seconda, lunghissima e complessa fase, quella della individuazione e della ricomposizione dei frammenti utilizzando in maniera complementare la tecnica di derivazione archeologica della ricerca degli “attacchi” e quella basata sulla individuazione dei punti corrispondenti ai frammenti sulla gigantografia a grandezza naturale dell’opera
Nel caso di Assisi l’operazione di riassemblaggio era resa difficile dalle condizioni dei frammenti: molto minuti, con i bordi scheggiati, spesso alterati nei colori.
Ciononostante, proprio utilizzando i metodi inventati da Brandi, si è riusciti a ricomporre una buona parte delle zone crollate, in particolare gli 8 Santi dell’arcone contiguo alla controfacciata e la confinante Vela di S. Girolamo.
Una volta ricomposte le immagini con i frammenti raccolti e considerato che la situazione si prestava alle operazioni di vera e propria conservazione e restauro, i frammenti venivano trasferiti dalle gigantografie e fatti aderire ai nuovi supporti mobili in maniera che poi si potesse procedere alla stuccatura delle zone mancanti e alla reintegrazione delle lacune mediante abbassamento ottico-tonale.
Le immagini così ricomposte sono state infine ricollocate mediante ancoraggio alla volta nel posto da cui erano crollate.

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