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Intervento al Convegno in onore del Maestro Sandretti

Inserito in Scritti

Lucca, 23-24.1.2004
di Giuseppe Basile

Quella dell’Istituto, a definirla molto brevemente, è stata un’attività volta essenzialmente a costituire e fornire esempi di corretto procedimento metodologico e annessi casi di soluzione concreta di problemi operativi. 

Un impegno da subito individuato (in buona o cattiva fede) come fuori tema in ossequio al principio di una (presunta) alterità del restauro degli strumenti musicali ( e degli “strumenti” in generale) rispetto al restauro della generalità di tutte le altre classi di manufatti a carattere storico-artistico e quindi – per dirla in soldoni – come un intollerabile sconfinamento di campo.

Posizione assunta immediatamente con corposa rozzezza dalla categoria che si riteneva – non a torto – minacciata nei suoi interessi, intendo dire la corporazione dei fabbricanti di organi nuovi che per prassi tradizionale hanno sempre riparato e rimesso a nuovo, anzi spesso rimodernato gli organi storici: come se un intero secolo di riflessioni e conseguenti prassi sul restauro dei manufatti storici come attività a carattere fondamentalmente culturale e soltanto in seconda istanza manuale – artigianale fosse passato senza neppure sfiorare una classe di manufatti la cui importanza dovrebbe risultare inequivocabile a chiunque se solo si pensi alla letteratura musicale che attraverso di essi è stata prodotta in Italia nei secoli (ma forse si tratta di speranza malfondata in un Paese di imperante analfabetismo musicale …) 

Per completezza di informazione bisogna aggiungere che più o meno profonde perplessità venivano nutrite sia da alcuni organologi che da parte di alcuni colleghi, che con diversa accentuazione rilevavano le difficoltà derivanti dalla carenza di cultura tecnica musicale oltre che di conoscenza di storia musicale e organologica nonché dal ruolo che in uno strumento non può non essere riconosciuto alla funzione.

“Uno strumento che non suona che strumento è?” 

Una obiezione del genere non si può certo ignorare né minimizzare ricordando che il problema riguarda altre categorie di manufatti storici (strumenti scientifici, edifici  monumentali, immagini di culto, manufatti di tipo demoetnoantropologico, etc.) per i quali tuttavia non si ritiene necessario uno “statuto” autonomo rispetto alla più generale teoria e metodologia del restauro.

Ma il problema non è se uno strumento viene o non viene rimesso in grado di suonare (non ci sarebbe motivo per non farlo, a meno che l’operazione di rifunzionalizzazione non sia da evitare perché metterebbe in pericolo l’integrità superstite del manufatto o perché ne altererebbe completamente o radicalmente le caratteristiche foniche) ma “come” viene rimesso in grado di funzionare, cioè se rispettandone la fisionomia sonora (alla luce del parametro del “suono storico”, corrispondente, nello specifico, alla nozione di facies storica ormai consolidata da decenni nel campo del restauro dei manufatti “artistici”) ovvero no.

Quanto all’altra perplessità, anch’essa fondata, sarà sufficiente ricordare che ormai da parecchi anni è tramontato il mito del restauratore onnisciente e onnifacente .

Del resto sarebbe stato impossibile non prendere atto (anche in seguito ad autentici disastri causati da veri o presunti maghi del restauro convinti di potere continuare ad agire come nel passato pur in presenza di fenomeni di degrado e metodi, tecniche e prodotti di restauro del tutto nuovi) che un intervento di restauro, se condotto correttamente, non può più essere affare di una sola professionalità (nei casi migliori con il supporto di quella storica) ma deve essere il risultato di un’azione interdisciplinare, sia sotto l’aspetto delle indagini che a livello operativo. 

Alla luce di queste convinzioni, ma soprattutto potendo contare sulla disponibilità illimitata di amici organologi ben consci dell’importanza dell’iniziativa e potendo disporre di una struttura di consolidata esperienza in tutti i campi afferenti alla conservazione ed al restauro quale l’ICR (con i suoi laboratori scientifici, laboratori di restauro, officine artigianali, laboratori di documentazione informatica, etc. e , ovviamente, relativi specialisti in biologia, chimica, fisica, informatica, restauro nelle varie classi di manufatti) l’Istituto volle dare concreta testimonianza di quanta importanza annettesse al problema progettando e realizzando un “Corso sperimentale di formazione professionale per la conservazione ed il restauro degli organi storici”.

L’iniziativa ebbe modo di realizzarsi nell’arco di 2 anni (1996-97) e, dopo 22 mesi (3000 ore) di attività teorico-pratica, conseguire lo scopo per il quale era stata progettata, cioè la formazione – per la prima volta nella storia - di un vero restauratore di organi storici.

Si trattava di 5 operatori selezionati attraverso un concorso pubblico d’accesso tra 20 candidati (segnalati dalle Soprintendenze) in possesso di determinati requisiti, primo tra i quali una conoscenza professionale della tecnica musicale, e poi formatisi sotto la guida di Pier Paolo Donati restaurando l’Organo Altemps di Filippo Testa (1701) sito nel transetto destro di S. Maria in Trastevere.

A conferma della rilevanza storica dell’operazione, in occasione della inaugurazione dell’organo restaurato mediante 2 concerti di Gustav Leonhardt e di Luigi Ferdinando Tagliavini si è svolto un convegno sulla organologia a Roma in età barocca che, a giudizio degli esperti, ha segnato un momento importante nella storia della musicologia.

Sembrava pertanto, e non solo a chi vi parla, che sussistessero tutte le condizioni indispensabili (visti gli esiti sostanzialmente positivi) per una generalizzazione di quell’esperienza, almeno come linea di tendenza.

Invece non ci sono state finora ricadute significative: l’unica vera ricaduta, se andrà in porto positivamente, potrebbe individuarsi nel costituendo Centro nazionale di restauro degli strumenti musicali con annessa scuola di formazione, dislocato – per motivi intuibili - a Cremona.

Una iniziativa che – dopo innumerevoli, infelici tentativi che, almeno a cominciare dal 1985 “Anno europeo della musica”, mi hanno visto personalmente coinvolto - pareva essere sorta con i più felici auspici, trattandosi del frutto di un impegno sinergetico e programmato degli Enti aventi causa a vario titolo, intendo dire il Ministero Beni e Attività Culturali (e per esso l’ICR), la Regione Lombardia, il Comune di Cremona che, attraverso un Accordo di programma, si erano  impegnati a dare vita al Centro garantendo nel contempo le necessarie risorse. 

La situazione, al momento, è la seguente: è stato portato a termine il restauro e adeguamento funzionale dell’immobile (il Palazzo Pallavicino, di proprietà regionale, originariamente destinato a sede di uffici appunto regionali), è stato redatto  l’elenco delle attrezzature e suppellettili necessarie ed è pronta la prima versione della forma gestionale del Centro con le caratteristiche della fondazione di partecipazione, quindi con possibilità di lavorare per conto terzi offrendo servizi specialistici non soltanto nello specifico ambito del restauro degli strumenti musicali ma anche, più ampiamente, nel campo della diagnostica e delle indagini scientifiche finalizzate al restauro di varie altre classi di manufatti, quanto meno quelle comprese in manufatti polimaterici quali sono gli strumenti musicali.

Esso sarà comunque collegato in forme ancora da definire all’ICR che ne dovrà garantire la correttezza nell’attività di restauro come in quella formativa.

A quest’ultimo proposito il progetto originario contemplava un avvio dell’ attività formativa dei formatori, almeno di quelli relativi all’aspetto conservazione e restauro, entro la fine del 2001 in modo da potere dare inizio all’attività formativa (oltre che a quella operativa) del Centro entro la fine del 2002 .

Vero è che, rispetto ad allora, a distanza di poco più di 2 anni, è successo un fatto nuovo e cioè il riconoscimento all’Università della titolarità della formazione anche per quanto attiene alla conservazione ed al restauro delle opere d’arte ma è anche vero che l’Università non disponeva allora e non dispone tuttora di nessuna competenza, né generale né tanto meno specifica, nel restauro dei manufatti storici e che pertanto sarebbe del tutto ingiustificabile che volesse fare da sola. 

Del resto, che questa fosse un’esigenza avvertita ben prima che venisse fuori la relativa legge lo dimostrano le varie iniziative concordate o programmate dallo scrivente in collaborazione con la Sede staccata di Cremona dell’Università di Pavia.

Ma quella prima iniziativa non ha avuto neppure rilevanti conseguenze sotto l’aspetto della gestione dell’attività di restauro degli strumenti musicali storici ed in particolare degli organi, senza dubbio a causa della difficoltà enorme di derogare da prassi consolidate nel tempo e che si fondano sulla saldatura di interessi di varia natura ma tutti convergenti allo stesso fine di rendere difficilissima un’operazione di restauro realmente adeguata.

L’interesse più corposo è certamente quello delle pochissime ( non più delle dita di una mano) ditte di fabbricanti di organi, tutte concentrate fra Triveneto e Lombardia, che esercitano di fatto il monopolio del mercato nazionale, spingendosi fino alla Calabria ed alla Sicilia. Esse trovano i loro referenti naturali (e non da ora) in tanti parroci che hanno realmente a cuore la loro attività pastorale e che pertanto ritengono assolutamente positivo che l’organo della loro chiesa torni a suonare o a suonare bene, cioè – dal loro punto di vista – in modo da rispondere positivamente alle esigenze liturgiche attuali che non sempre, anzi raramente, coincidono con quelle in funzione delle quali quello strumento era stato costruito.

Mi si obietterà che vale anche per gli organi la legge che regola gli interventi su tutti i manufatti aventi più di 50 anni e che pertanto anche il restauro degli organi ricade sotto il controllo delle soprintendenze competenti per territorio.

Ma il problema è che, mentre per quasi tutte le rimanenti classi di manufatti artistici o almeno storici i funzionari e i tecnici del Ministero BAC (se non delle singole soprintendenze) dispongono della necessaria competenza, nel caso degli strumenti musicali si ritrovano privi della insostituibile formazione musicale, ed il risultato è che – salvo casi eccezionali – si trovano di fatto nella necessità di delegare la loro funzione a professionisti esterni all’Amministrazione dei Beni Culturali, generalmente ispettori onorari il cui compito, per legge, non è quello di surroga ma di supporto e consulenza tecnica specifica.

A parte quest’aspetto tutt’altro che marginale in un sistema di tutela come il nostro fondato sulla esclusiva responsabilità della funzione pubblica, il guaio è che, spesso (come sempre con le dovute eccezioni), l’ispettore onorario non ha cultura specifica di restauro per cui tutta l’operazione viene progettata e svolta in direzione divergente se non contraria a quella seguita dallo stesso Ufficio di tutela in tutti gli altri restauri.

E proprio per cominciare a porre rimedio a questa situazione di forzata abdicazione dalla propria funzione l’ICR – sempre grazie alla disponibilità degli stessi amici organologi che poi opereranno nel corso sperimentale di formazione ed in particolare di Pier Paolo Donati – ha progettato e realizzato un corso per la messa a punto di un progetto di restauro degli organi storici destinato ai funzionari dell’Amministrazione responsabili della progettazione e della direzione lavori di quei manufatti.

Anche questa iniziativa, che peraltro faceva seguito ai precedenti, brevi esperimenti di “aggiornamento” (in realtà veri e propri corsi di alfabetizzazione) promossi e gestiti dalla Direzione Generale del Personale del Ministero BAC, è rimasta senza seguito, e non solo per mancanza di risorse.

Così come ( allargando per un momento il campo del nostri interesse) senza seguito è rimasta l’esperienza della “Commissione nazionale per la tutela degli organi antichi”, decaduta per scadenza dei termini stabiliti nell’atto istitutivo e mai più ricostituita, nonostante nei suoi 3 anni di vita avesse svolto un lavoro complessivamente apprezzabile (mi limito a citare, perché di più stretta pertinenza, il documento su “cosa non si deve fare” e su “cosa è possibile fare” nel restauro degli organi storici o l’altro sui requisiti minimi indispensabili per potere essere nominati ispettori onorari per la tutela degli organi antichi).

E siccome – come è ben noto – i vuoti sono sempre rischiosi ecco che con un tempismo degno di nota nel 2000 venne presentata una proposta di legge che istituiva una Commissione nazionale per la tutela degli organi antichi, con lo scopo, certo, di studiare e dare direttive etc. etc. ma , soprattutto, con la funzione di decidere l’assegnazione di alcune decine di miliardi pubblici destinati al “recupero” di importanti organi antichi e con la variante non del tutto insignificante, rispetto all’altra Commissione, che ne avrebbero fatto parte rappresentanti dei fabbricanti – restauratori di organi o, come più spesso vengono chiamati, organari.

Che questa sfrontata violazione di ogni deontologia professionale e di ogni principio etico non abbia potuto realizzarsi prima per decadenza di fine legislatura  e poi per indisponibilità di risorse economiche non parrebbe consentirci di ben sperare per il futuro.

Quanto fin qui si è detto, però, non fa che confermare per l’ennesima volta come non ci sia possibilità di segnare una inversione di tendenza nell’attività di tutela riguardante gli strumenti musicali storici se non viene risolta una volta per tutte la questione della riunificazione delle competenze e, soprattutto, non si costituisca una struttura unitaria di riferimento per tutto ciò che attiene allo studio, restauro e salvaguardia, in una parola alla tutela, di questa particolarissima classe di manufatti storici.

E’ questa una proposta che è stata ripresentata parecchie volte e nelle più svariate occasioni. La legge di riforma del Ministero ancora una volta ha ignorato l’identità di questa classe di beni culturali, che infatti non vengono neppure citati, a differenza di altri beni, quelli demoetnoantropologici, prima anch’essi ripetutamente ignorati ed ora quanto meno accorpati ai beni artistici e storici.

La partita forse ancora non è persa per sempre, ma ritengo necessario e urgente che tutte le forze che riconoscono la necessità di un cambiamento radicale nella organizzazione dell’attività di tutela degli strumenti musicali storici facciano uno sforzo straordinario per riproporre il problema agli organismi responsabili in modo continuativo e costante.

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