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La teoria del restauro nel novecento da Riegl a Brandi

Inserito in Scritti

Venerdì 14 novembre

Aula Magna dell’Università degli Studi della Tuscia
Alberto Argenton Università degli Studi di Padova, Giuseppe Basile Istituto Centrale per il Restauro

Linee di convergenza fra la teoria del restauro di Cesare Brandi e la psicologia dell’arte

L’intento del nostro contributo è di illustrare le convergenze concettuali, metodologiche e applicative fra alcuni aspetti fondanti la teoria del Restauro di Cesare Brandi e quelli pertinenti al filone di ricerca – prevalentemente di impronta gestaltista e il cui massimo protagonista è Rudolf Arnheim – che si è occupato e si occupa della psicologia della percezione delle arti visive e che fa capo all’ancora più ampio e generale settore di studio della Psicologia dell’arte. 

Le convergenze, a livello teorico, sono rintracciabili già negli assiomi che stanno alla base della concezione brandiana del fenomeno artistico, dove i processi indicati per il suo verificarsi collimano con quelli individuati in proposito dalla ricerca psicologica e si fanno particolarmente evidenti rispetto al costrutto di “unità potenziale dell’opera d’arte”. Nell’illustrazione di tale costrutto, le considerazioni svolte da Brandi coincidono nettamente con quelle che, anche secondo Arnheim, sono imprescindibili per la lettura e la comprensione psicologica dell’opera artistica. Riguardo a quest’ultimo processo, vi è ancora concordanza fra i due studiosi nell’indicare la procedura cognitiva da attivare: “la recezione intuitiva e spontanea”, nei termini di Brandi, e “l’intuizione”, nei termini di Arnheim, intese allo stesso modo come una particolare capacità della percezione di cogliere direttamente e spontaneamente l’interazione fra le componenti di un’opera d’arte.

Questi presupposti teorici così simili fra loro conducono a una inevitabile e ulteriore consonanza di carattere metodologico: così come per Brandi, anche per lo psicologo dell’arte, nonostante la diversità di fondo degli intenti, la principale via metodologica percorribile è quella fenomenologica.

Sul versante applicativo, a proposito del problema delle lacune, Brandi fa esplicito riferimento alla psicologia della Gestalt per suffragare la validità della soluzione da lui “escogitata d’intuito”, dimostrando la sua attenzione verso il funzionamento della percezione. Ed è su questo versante, in particolare, che i due approcci trovano forse una più palese convergenza.

Il problema della reintegrazione delle lacune nei dipinti murali in frammenti era stato affrontato immediatamente dopo la fine dell’ultima guerra mondiale da Brandi, in particolare per i cicli murali di Lorenzo da Viterbo nella Cappella Mazzatosta in S. Maria della Verità, di Andrea Mantegna e compagni nella Cappella Ovetari agli Eremitani di Padova e, in maniera incompleta, per gli affreschi del Camposanto di Pisa.

Come è a tutti noto, fu proprio in quell’occasione che Brandi mise a punto una metodologia ed una tecnica nuova nella reintegrazione delle lacune, superando definitivamente le soluzioni date fino a quel momento al problema ed in particolare il completamento mimetico (o “in stile”) e il trattamento “a neutro”.

L’assunzione, giustificata dal concetto di “unità potenziale” dell’opera d’arte, della tecnica del “tratteggio” consentì di superare positivamente le predette prassi, risultate ugualmente insoddisfacenti anche se per motivi diversi. E la sua validità operativa permane tuttora, pur se in alcuni casi non si dimostra percorribile.

Può esserne un esempio la situazione dei dipinti in frammenti della volta della Basilica Superiore di San Francesco in Assisi, che presenta caratteristiche perfettamente analoghe a quelle dei complessi prima citati, ma con alcune differenze degne di nota: un numero enormemente più alto di frammenti ed una frammentazione più accentuata; la decorazione assisiate occupa una porzione minima di un grande edificio; fa parte di una decorazione ampiamente lacunosa; è collocata ad una altezza da terra notevolmente maggiore.

Questi due ultimi aspetti, in particolare, hanno reso definitivamente impraticabile la soluzione “tratteggio” e pertanto, per la restituzione del testo, ci si è serviti dell’altra tecnica di reintegrazione delle lacune, sempre indicata da Brandi, e cioè il loro abbassamento ottico (e cromatico). 

Tenendo conto che, nel caso dei Santi dell’arcone, la specificità della struttura formale è costituita dal riferimento illusivo alla situazione spaziale delle due trifore alle basi dell’arcone, mentre nel caso della Vela di S. Girolamo il punto di forza è costituito dai potenti elementi architettonici che sostengono l’intera scena – e senza dimenticare la preziosa funzione di “legatura” svolta dagli elementi decorativi modulari. 

Anche in questo caso, comunque, è il costrutto di “unità potenziale” dell’opera d’arte ad aver guidato l’individuazione dell’intervento migliore, rispetto alle condizioni date.

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