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Documentazione e memoria del restauro della Basilica di S. Francesco in Assisi dopo il sisma del 26 settembre 1997

Inserito in Basilica di S. Francesco di Assisi

Il 24 marzo 2001, a chiusura del Convegno internazionale sul restauro dal titolo La realtà dell’Utopia, avevo avanzato la proposta di costituire presso il Sacro Convento non solo un archivio-banca dati degli interventi effettuati ma anche un Museo (o  un qualsiasi tipo di esposizione permanente) destinato a conservare ed esporre innanzitutto i frammenti di decorazione che con ogni probabilità sarebbe risultato impossibile ( come poi è successo) ricollocare sulla volta della Basilica ma anche tutti quei prodotti, fisici oltre che virtuali, elaborati o “generati” in funzione degli interventi di recupero, restauro e fruizione delle opere colpite dal sisma.

 

Il 24 marzo 2001, a chiusura del Convegno internazionale sul restauro dal titolo La realtà dell’Utopia, avevo avanzato la proposta di costituire presso il Sacro Convento non solo un archivio-banca dati degli interventi effettuati ma anche un Museo (o  un qualsiasi tipo di esposizione permanente) destinato a conservare ed esporre innanzitutto i frammenti di decorazione che con ogni probabilità sarebbe risultato impossibile ( come poi è successo) ricollocare sulla volta della Basilica ma anche tutti quei prodotti, fisici oltre che virtuali, elaborati o “generati” in funzione degli interventi di recupero, restauro e fruizione delle opere colpite dal sisma.

Naturalmente la proposta riguardante l’archivio-banca dati collocato presso il Sacro Convento non aveva suscitato particolari reazioni, anzi ne era stata colta subito la utilità in funzione di una facilitazione della consultazione e dello studio, a differenza di quanto è accaduto per l’attività di conservazione e restauro precedente al sisma, la cui documentazione è conservata in massima parte presso la competente Soprintendenza di Perugia ed in parte presso l’Istituto centrale del restauro a Roma, né l’una né l’altra peraltro dotate di un servizio continuativo di apertura al pubblico

E’ vero che in un’epoca come la nostra, di imperante informatizzazione, la collocazione fisica dei documenti non costituisce più un problema, dato che basta metterli in rete per poterli fruire contemporaneamente e nei luoghi più remoti : ma poi, nella realtà, le cose non sempre sono così semplici, se non altro per il fatto che l’impianto e l’implementazione di una vera banca- dati richiede risorse ( umane ed economiche) spesso difficilmente reperibili.

Inoltre non sempre (quanto meno allo stadio attuale di sviluppo tecnologico) è possibile trasferire completamente su supporto digitale oggetti con valore documentario, soprattutto se si tratta di oggetti tridimensionali, essendo impensabile – se non altro a causa dei costi – tradurli in immagini digitali a 3 dimensioni usando la tecnica della acquisizione fotogrammetrica a nuvola di punti in 3D.

Ovviamente il problema si pone quando si ha a che fare con elementi dotati di valore documentario oggettivo, insomma non quando ci si riferisce ai prodotti di operazioni di registrazione di fenomeni statici o dinamici, cioè – nel caso in questione – le opere, i materiali costitutivi, le tecniche di assemblaggio, lo stato di conservazione, gli eventuali interventi pregressi di conservazione e restauro, infine le operazioni cui esse vengono sottoposte nell’intervento in corso.

In realtà neppure in questi casi è sempre vero che la registrazione corrisponde adeguatamente all’originale. Faccio un solo esempio: durante i recenti lavori post sisma è stato eseguito, dai restauratori Eugenio Mancinelli, Renato Pennino e Fabio Fernetti, il calco di alcuni riquadri o parti di riquadri tra cui la figura di S. Agostino nella vela omonima. Dato che la vela è caratterizzata da una doppia curvatura è evidente che non è stato possibile fotografarla. Mi si potrebbe obiettare che si sarebbe potuto ricorrere ad una tecnica complessa di registrazione e successiva elaborazione, cioè un rilevamento fotogrammetrico 3D con successiva “spalmatura” dell’immagine acquisita digitalmente, che avrebbe certamente garantito   risultati adeguati. E’ vero, ma il fatto è che allora ( 1998) la tecnica della “spalmatura” non dava ancora risultati del tutto accettabili e comunque non ci sarebbero state le condizioni ( di tempo, di soldi) per operare.

Tanto è vero che, nonostante che l’Istituto, recentemente, si sia  potuto dotare ( grazie alle “campagne d’Oriente”, soprattutto in Cina e India) di apparecchiature molto avanzate tecnologicamente tanto da avere potuto effettuare, circa 4 anni fa,  il rilevamento fotogrammetrico in 3 D di superfici praticamente piane quali sono quelle dipinte ( il rilevamento fotogrammetrico effettuato subito dopo il terremoto ai fini della ricostruzione o del riassetto strutturale dell’edificio aveva maglie troppo larghe) e quindi abbia potuto procedere al rilevamento dell’ intera superficie dipinta della Basilica Superiore e nonostante che la Ditta HAL 9000 abbia messo a disposizione le proprie riprese fotografiche ad altissima definizione finora (senza dubbio anche per le ben note difficoltà logistiche e finanziarie in cui esso versa) si è riusciti a fare solo un esempio campione, quello relativo alla Conferma della Regola, perché collegato alla mostra I colori di Giotto ( mentre, sia detto per inciso, proprio niente si è riusciti a fare per gli affreschi Scrovegni e per l’Ultima Cena, sebbene anch’essi – agli stessi fini conservativi oltre che conoscitivi - siano stati oggetto di analoghi rilevamenti fotogrammetrici e  documentazioni ad altissima definizione) 

Mi si lasci però dire che, comunque,  non sarebbe stata, non potrà essere la stessa cosa : almeno fino al momento in cui non saremo ridotti al solo senso della vista e basterà un semplice movimento del bulbo oculare per azionare quella che gli imprenditori informatici preconizzano come generazione più avanzata rispetto all’attuale sistema touch screen, che - immagino -  verrà chiamato eye screen.

Del resto, a giudicare da esperienze anche abbastanza recenti, non pare che la tecnologia informatica, anche nelle sue forme più avanzate, sia riuscita ancora a surrogare la complessità della percezione umana come si è andata sviluppando finora

Come tutti avranno capito mi riferisco alla cosiddetta “realtà virtuale immersiva” di cui proprio ad Assisi è ancora in funzione (fino a domani) un esempio realizzato dal CNR di Roma avente ad oggetto la Conferma della regola.

Quelle che avrei potuto mostrare sarebbero state evidentemente immagini fisse, del tutto inadeguate rispetto ad un prodotto finale non solo dinamico ma da “vivere”  in prima persona. 

Quanto a me, confesso che non sono riuscito ad immergermi, anzi me ne è venuto un gran fastidio, forse perché, a mostra chiusa e perciò in assenza di referenti “complici”, non è potuto scattare neppure quel meccanismo di coinvolgimento psicotico che in certi casi ha perfino portato alla condivisione incondizionata delle pulsioni in quel momento dominanti in quel determinato assembramento, qualunque ne fosse la motivazione.

D’altra parte (se mi consentite quest’ultima osservazione a chiusura di una parentesi forse troppo lunga), dal momento che, per ammissione degli stessi autori, chi si immerge virtualmente non ne ricava ( o comunque, non ne ricava ancora) un aumento o un approfondimento di conoscenza, non vedo quale motivazione possa avere un’operazione a parte tutto così dispendiosa.

Peraltro, per tornare al mio discorso, la mia convinzione che la documentazione - anche ricorrendo ai mezzi allora più avanzati tecnologicamente - non fosse in grado di surrogare, in certi casi, l’oggetto documentato aveva trovato una conferma piena quando, nel corso delle innumerevoli visite guidate al cantiere dei frammenti, i visitatori avevano mostrato di venire attratti soprattutto dalla controforma della vela di S. Girolamo che, per quanto non completa (lo spicchio con il Cristo, come si ricorderà, non era crollato, ma lo si era dovuto “staccare” dal supporto murario sia per evitare che, continuando le scosse, potesse cadere in frantumi, sia perché gli strutturisti avevano giudicato non percorribile l’ipotesi di agganciarsi a quanto rimasto in loco nella ricostruzione delle zone di muratura della volta crollate in seguito al sisma ) gli faceva comprendere immediatamente quali fossero le dimensioni reali dell’oggetto e, pertanto, di quale entità dovessero essere le operazioni di ricomposizione, conservazione, restauro e ricollocazione e, per esempio, cosa volesse dire, nella realtà operativa, quella astrazione rappresentata da una cifra, 80.000, cioè il numero dei frammenti raccolti e ricollocati appartenenti a quella vela.        

Certamente era questo l’aspetto della proposta più difficile da capire ed accettare, cioè l’esigenza di mettere in mostra dei materiali invece che il puro e semplice immagazzinamento, per quanto consultabile, dei loro corrispettivi documentari: difficoltà comunque – e il paradosso è più apparente che reale -  più che dei non specialisti proprio degli “addetti ai lavori”, da parte dei quali, ad ogni modo, tali perplessità non erano mai state fatte presenti in maniera esplicita e, tanto meno, formale, tanto che la proposta cui accennavo all’inizio era stata approvata all’unanimità.

Un discorso analogo, per la verità, poteva essere fatto anche per quello che costituirebbe l’aspetto più interessante (e, auspichiamo, irripetibile, nel senso che non se ne presenti più la necessità) della proposta, cioè quello riguardante la conservazione dei frammenti non ricollocati.

Come è a tutti noto, dei circa 300.000 frammenti recuperati e in gran parte identificati è stato possibile ricollocarne ( ovviamente dopo averne eseguito la ricomposizione e il restauro) poco più di due terzi: dei circa 100.000 restanti, alcuni, e in  particolare i monocromi, non sono risultati ricollocabili  per difficoltà di ordine tecnico rese praticamente insormontabili dalla decisione estremamente rigoristica di ricollocare soltanto frammenti della cui identificazione si fosse  sicuri al 100%. Per altri, invece, lo si è ritenuto inopportuno per motivi di ordine metodologico (con i loro risvolti anche economici), in particolare nel caso dei frammenti della vela stellata contigua alla vela di S. Matteo, estesamente ridipinta in occasione dei restauri di fine Ottocento

Ora nessun dubbio, da parte di tutti, sulla inderogabile necessità di conservare quei frammenti, sia per un eventuale utilizzo nel caso in cui fossero risolti i problemi di vario tipo cui prima si accennava , sia appunto, più genericamente,  come strumento per testimoniare meglio l’attività svolta: e, ove ce ne fosse stato bisogno, c’era lì a darne conferma ( a prescindere dall’esito deludente dell’operazione) l’esempio dei frammenti non ricollocati appartenenti alla decorazione della Cappella Ovetari e però conservati in parte presso l’ICR e - in quantità assai più consistente e in situazione quasi avventurosa - nella Chiesa stessa degli Eremitani

A dare la misura però di quel che si intendesse generalmente allora ( e, temo, tuttora) per conservazione in deposito può valere, in negativo, ricordare che il motivo determinante nella decisione presa nel corso di un seminario specialistico di ricollocare i frammenti della vela di S. Matteo nonostante i profondi dubbi espressi da tutti i presenti sulla correttezza metodologica di una simile scelta fu proprio la considerazione del rischio elevatissimo di perdita, o quanto meno di “perdita di vista”, insito nell’immagazzinamento 

Naturalmente sappiamo tutti che vi sono numerosissimi musei che non riescono, per i più svariati motivi, ad essere molto più che depositi visitabili: ma il museo di cui parlo non dovrebbe avere difficoltà a funzionare come tale, se non altro perché – a differenza della maggior parte dei musei, sia quelli artistici ( con eccezione, almeno potenzialmente, di quelli di arte contemporanea) che quelli cosiddetti di “cultura materiale” – può contare sul collegamento funzionale tra oggetti esposti ed il ruolo da essi svolto, e quindi sulla loro attualizzazione memoriale, in quanto il loro impiego è stato documentato senza soluzione di continuità sia attraverso riprese fotografiche che, ciò che in questo caso più conta, filmiche  

Sicuramente nessuno si stupirebbe se ora dicessi che, a distanza di quasi 10 anni e nonostante le reiterate promesse, del museo non c’è ombra né credo che ci siano le condizioni perché possa essere realizzato in un prossimo futuro

Mancano infatti le 2 condizioni propedeutiche principali, uno spazio adeguato e le necessarie risorse.

Gli spazi originariamente individuati , quelli ricavati al di sotto della grande piazza  della Basilica Inferiore in seguito agli interventi richiesti dal sisma, sono bloccati non si sa fino a quando perché oggetto di contenzioso tra il Comune di Assisi e il Sacro Convento; le risorse sulle quali si poteva contare sotto forma di risparmi rispetto alla somma globale di 10 miliardi di vecchie lire previste per gli interventi sui beni storico-artistici della Basilica su un budget complessivo di 71 miliardi sono venute a mancare fin da quando gli interventi sulle murature hanno fagocitato anche quei 10 miliardi costringendo peraltro l’allora Commissario Serio ad attingere a capitoli diversi da quelli relativi al sisma i 7 miliardi necessari per  intervenire sui 5.000 mq di decorazioni murali della Basilica Superiore e sui frammenti, nonchè per il progetto di ricomposizione mediante informatizzazione dei frammenti della vela di S. Matteo.

Nel 2006, al momento della chiusura del cantiere sui frammenti, era parso per un momento che si potesse utilizzare provvisoriamente il laboratorio prefabbricato come contenitore museale, ma l’idea dovette essere abbandonata allorquando fu inevitabile constatare che la revisione del prefabbricato avrebbe comportato una spesa elevata e comunque non preventivata; peggio, i Frati vollero tornare ad utilizzare a fini cultuali il piano inferiore del Chiostro dei Morti, fino ad allora utilizzato come deposito dei frammenti e di una parte delle attrezzature e dei materiali di cantiere.

Fortunatamente il Custode pro tempore P. Vincenzo Coli si rese conto che non si potevano disperdere in depositi improvvisati e inadatti quei materiali e, in particolare, i frammenti (anche se conservati ancora nei loro contenitori) e pertanto fece fare (a spese del sacro Convento, dato che la competente Soprintendenza non disponeva di nessuna risorsa) un intervento di funzionalizzazione degli spazi di risulta sul fianco destro della Basilica  Superiore, coperti ma non completamente chiusi e, tanto meno, percorribili in sicurezza.

Lì hanno trovato posto i frammenti, i rotoli fotografici e grafici, qualche attrezzatura, alcuni materiali di lavoro; sono rimasti fuori tutti gli altri oggetti di grandi dimensioni, al momento ospitati presso un magazzino del S. Convento, e rimangono ancora presso l’ICR i calchi di alcuni particolari di personaggi o scene rappresentati sulla volta  e sulle pareti  

Non si tratta di una soluzione soddisfacente, soprattutto a lungo andare e anche se la si consideri sotto il mero aspetto della conservazione – senza nulla togliere anzi, al contrario, riconoscendo pienamente il merito indiscutibile del Sacro Convento nell’avere condiviso la mia convinzione sul carattere di inderogabilità di un’operazione senza la quale sarebbe stato impossibile non nutrire preoccupazioni sulla sorte dei frammenti   

Bisognerà infatti immagazzinare adeguatamente il patrimonio di 372 grandi foto e 283 grafici che abbiamo visto prima, a suo tempo schedate con grande competenza ma anche con passione dal gruppo di dottorande e laureande di Maria Andaloro, trovare una sistemazione più adeguata per gli altri materiali rimasti fuori dal deposito dei frammenti garantendone nel contempo operativamente la consultabilità.

Va da sé che, oltre che a dare corpo anche fisico alle operazioni messe in opera per il salvataggio e il restauro della Basilica e del Sacro Convento mediante l’esposizione degli strumenti e dei prodotti impiegati: dal sistema di ancoraggio antisismico della volta della Basilica Superiore alla trave reticolare ai dispositivi in lega “a memoria di forma”, dalle controforme in legno per costruire correttamente i supporti dei dipinti in frammenti ai “trasparenti” utilizzati per controllare il “posizionamento” dei frammenti su di essi, ai nuovi sistemi di ancoraggio dei frammenti sui costoloni, si dovrà anche conservare e rendere fruibili i “prodotti virtuali”: per fare solo qualche esempio i procedimenti di ripristino delle dimensioni reali delle immagini deformate nelle foto (doppiamente perché dipinte su superfici curve), le modalità di acquisizione digitale dei frammenti, i  vari soft messi a punto per il loro  riassemblaggio informatizzato o, per esempio, quello per la ricostituzione virtuale – mediante proiezione -  sulla volta reale della vela di S. Matteo nella ipotesi più pessimistica di impossibilità di ricomporre anche solo matericamente l’immagine .

L’ultima ipotesi, in ordine di tempo, di soluzione di questi problemi mediante un’operazione congiunta Ministero BAC – Comune di Assisi (e, ovviamente, Sacro Convento), con il sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia nell’ambito delle iniziative per l’VIII Centenario della istituzione dell’Ordine dei Francescani pare ormai definitivamente caduta e quindi non resta che sperare che il Ministero BAC che al momento del sisma, alla luce di una specifica clausola concordataria, aveva rivendicato a sé tutto l’onere dell’intervento di restauro possa assumere su di sé anche l’onere della realizzazione del museo qui proposto quale necessario completamento di quell’impegno.      

 Basterà ricordare qui 2 episodi molto significativi.  1: Alla vigilia della riapertura della Basilica Superiore e quindi ne periodo più “caldo” della disputa sulla possibilità di ricostituire la decorazione pittorica originaria lavorando sui frammenti a fare accettare questa tesi fu il voto unanime del Capitolo dei Frati, nella sorpresa e, diciamolo pure, nello sconcerto degli “addetti ai lavori” qui come in altri casi assai più sensibili alle attese di qualche “piazza”.  2: Per avere anche un supporto di opinione pubblica fu condotta una indagine sui visitatori del cantiere, con il risultato che più dell’80%  degli intervistati si dichiarò non solo favorevole alla ricollocazione dei frammenti originali, ma sostenne che sarebbe stato preferibile lasciare le vele ricostruite spoglie di decorazione piuttosto che alterate da immagini falsanti, qualunque fosse stato il supporto e la tecnica utilizzati. 

 Ed allo scopo la ricollocazione dei frammenti ricomposti e restaurati è stata fatta in maniera reversibile, cioè in modo tale che non solo le varie sezioni  possano essere rimosse e ricollocate in qualsiasi momento ma anche l’inserimento dei nuovi frammenti possa avvenire senza dovere disfare tutto il lavoro fatto per poi rifarlo.

 Ovviamente non nell’operazione in sé, ma nella sua incompleta o approssimativa realizzazione

 Quindi non per ricostruzione analogica, come i procedimenti artigianali o, in qualche caso, artistici , ma per riattivazione di esperienze vissute e , almeno nella sostanza, ancora vivibili

 Essendo gli edifici del Sacro Convento pieni come un uovo, tanto che non si è mai riusciti a dare degna collocazione, a distanza di un quarto di secolo, al ciclo decorativo di Giorgetti e Sermei ( più di 200 metri quadri di dipinto murale) strappato dalla Sacrestia della Basilica Superiore a causa di un incendio agli inizi degli Anni Cinquanta e recuperata sotto l’aspetto conservativo dall’Istituto 30 anni dopo.

 Oltre al citato  S. Agostino , la Benedizione di Isacco ed alcune teste rappresentative della “maniera” dei vari artisti   

 In effetti avevo dovuto subordinare drasticamente lo spostamento dei frammenti dalla loro collocazione nel Chiostro dei morti alla reale disponibilità e funzionalità degli spazi messi a disposizione dal Padre Custode, peraltro tali da facilitare una visione integrata rispetto ai frammenti ricollocati nel contiguo spazio originario della Basilica 

Giuseppe Basile

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