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La cappella degli Scrovegni - materiali e tecnica esecutiva

Inserito in Cappella degli Scrovegni

I materiali costitutivi sono molto comuni: per il supporto si utilizzava calce, sabbia e a volte polvere di marmo o pozzolana; per il colore  pigmenti quasi esclusivamente di origine minerale e pertanto ricavati con procedimenti piuttosto elementari sotto l’aspetto tecnologico (fondamentalmente frantumazione e riduzione in polvere del minerale), salvo i casi di pigmenti di origine organica (nero di vite o d’avorio, lacche) o ottenuti artificialmente (biacca, cinabro, etc.). Anche gli attrezzi di lavoro erano assai semplici: filo a piombo, compasso, stecca, fratazzo, cazzuola, cucchiarotto.

I materiali costitutivi sono molto comuni: per il supporto si utilizzava calce, sabbia e a volte polvere di marmo o pozzolana; per il colore  pigmenti quasi esclusivamente di origine minerale e pertanto ricavati con procedimenti piuttosto elementari sotto l’aspetto tecnologico (fondamentalmente frantumazione e riduzione in polvere del minerale), salvo i casi di pigmenti di origine organica (nero di vite o d’avorio, lacche) o ottenuti artificialmente (biacca, cinabro, etc.). Anche gli attrezzi di lavoro erano assai semplici: filo a piombo, compasso, stecca, fratazzo, cazzuola, cucchiarotto.Soprattutto nel caso dell’affresco il procedimento richiedeva  una notevolissima abilità tecnica: bisognava infatti sapere prevedere l’effetto cromatico dell’intonaco dipinto una volta asciutto, diverso da quello dell’intonaco fresco.
 
Non si poteva inoltre ritornare col pennello su un colore già dato (“ritoccare”) fin tanto che l’intonaco era fresco. Infine il frescante doveva essere in grado di  prevedere quanto intonaco avrebbe potuto dipingere in una giornata lavorativa (l’indomani non sarebbe stato più fresco) e capire quando esso era pronto per essere dipinto (non doveva essere tanto fresco da ostacolare lo scorrere del pennello intinto nel pigmento sciolto in acqua né già così “tirato” da impedire una completa carbonatazione) . E’ questo il fenomeno chimico grazie al quale nella tecnica a fresco non è necessario un “legante” per fare aderire il pigmento al supporto e che garantisce al manufatto maggiore solidità e durata.
Sulla muratura si stendeva un primo strato di malta piuttosto ruvida e scabra (arriccio) sul quale, mediante il filo a piombo, si definivano i singoli spazi della composizione (battitura dei fili) e poi si abbozzavano le linee essenziali dell’immagine che si intendeva dipingere. Questo abbozzo è detto sinopia, perché come pigmento veniva impiegata una terra rossa proveniente da Sinope (Turchia). Si stendeva poi, giornata dopo giornata, un sottile strato di malta (intonaco) assai più liscio del precedente. 
Sull’intonaco si incidevano, con uno stilo metallico appuntito, i contorni degli elementi geometrici della figurazione (incisione diretta) e si riproducevano le linee delle immagini più complesse già segnate dall’artista su un cartone (disegno preparatorio), che costituiva la versione pressocchè definitiva e a dimensione reale di precedenti abbozzi e schizzi parziali o generali. A cominciare dalla metà del ‘400 la trasposizione del disegno preparatorio sull’intonaco veniva eseguita mediante due metodi fondamentali: si ricalcavano le linee del cartone con un ferro dalla punta arrotondata (incisione indiretta) oppure si faceva passare della polvere di carbone attraverso i buchi preventivamente operati in corrispondenza delle linee del cartone (spolvero). In precedenza la trasposizione veniva eseguita aiutandosi con sagome (sempre di carta) variamente posizionate. 
A questo punto si passava a dipingere cominciando dagli elementi di fondo (architetture, paesaggi, ecc.) per poi passare alle figure. Nel caso, assai frequente, in cui si aveva bisogno di ampie campiture di azzurro (per esempio nei cieli) e non si voleva – o non si poteva – affrontare i costi altissimi richiesti dall’impiego di pigmenti rari o addirittura preziosi (smalto, lapislazzuli) si ricorreva ad un minerale (l’azzurrite) che presentava tutti i requisiti del caso ma non poteva essere usato ad affresco perché ritenuto incompatibile con la calce. Lo si dava pertanto a tempera, cioè sull’intonaco asciutto (precedentemente dipinto a fresco con un pigmento, comunemente grigio o rosso scuro, che faceva da fondo o preparazione) e mediante un legante (generalmente il pigmento veniva impiegato temperandolo, cioè mescolandolo con colla animale o uovo).
L’operazione finale consisteva (in Italia almeno fino a buona parte del ‘400) nella doratura, soprattutto di aureole e di ben determinate zone di panneggi, che veniva fatta anch’essa a secco. Il metodo più diffuso era quello a mordente, in cui la foglia d’oro (ottenuta generalmente battendo ripetutamente una moneta fuori corso fra due pelli) veniva applicata mediante un adesivo oleo-resinoso.  
 

Il restauro della cappella degli Scrovegni

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