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Il sorriso di Giotto

Inserito in Scritti

Prima di allora non mi era mai successo di trovarmi così a tu per tu con un genio, ma questo mi era parso il modo migliore di festeggiare il mio compleanno.

 Non riuscivo pertanto a dominare una profonda emozione che sentivo crescere dentro di me man mano che accendevo le luci, mi avvicinavo alle immagini, le osservavo nel silenzio della notte.

Mi era successo più di una volta di chiedermi che aspetto potesse avere: l'immagine che ciascuno di noi si è fatta di Giotto è fondata su remote reminiscenze scolastiche piuttosto che su dati di fatto.

E del resto questi dati non esistono e non mi pareva che ci fossero motivi sufficienti per ritenere che il cosiddetto autoritratto, cioè il personaggio che sfila nella schiera degli Eletti nel Giudizio Universale, fosse più attendibile che la pecora o la O disegnate con sconcertante maestria dal futuro genio della pittura di cui tutti abbiamo letto alle elementari.

Ciononostante volli andare a verificare per l'ennesima volta i caratteri di quel volto, alla scoperta di qualcosa che rivelasse il segno del genio.
Ma mentre mi apprestavo a farlo, uno scricchiolio della scala del ponteggio mi fece trasalire: ero sicuro che quella sera in cantiere non era rimasto nessuno e ricordavo chiaramente di aver messo il lucchetto al portone della Cappella.
Dunque, non poteva che essere Lui…
Ora, per quanto cercassi di dominarla, mi accorgevo di essere entrato in grande agitazione: per un momento, che mi parve un'eternità, fui preso come da afasia e non riuscii a profferire parola, per farfugliare infine la prima cosa che mi era venuta in mente
" cuius pulchritudinem ignorantes non intelligunt, magistri autem artis stupent"
Pensavo che la citazione del suo amico Petrarca avrebbe contribuito a rompere il ghiaccio e a farmi sentire un pò meno a disagio, ma capii immediatamente di avere commesso un errore imperdonabile dal silenzio di gelo in cui era caduto il mio saluto.
Per rimediare mi affrettai a sostituire la citazione in latino con un'altra linguisticamente meno impegnativa:
"Credette Cimabue ne la pintura
tener lo campo e ora ha Giotto il grido
sì che la fama di colui è scura"
“Almeno il volgare di Dante lo capirà" mi sorpresi a pensare.
Ma dalla espressione nauseata del mio interlocutore dovetti dedurre di aver fatto un'altra gaffe: evidentemente non ne poteva più di quella citazione che, a forza di essere ripetuta, si era ormai come svuotata di significato.
Allora, disperato, provai a parlare di Assisi, del terremoto, degli sforzi enormi fatti per recuperare gli affreschi della Basilica di San Francesco e quindi anche i suoi…
"Non potrà non provare gratitudine per me" mi era venuto di pensare.
Invece ancora una volta qualcosa non aveva funzionato e sul suo volto ora si poteva cogliere un'espressione di profondo dolore.
Mi resi conto che doveva essere venuto a conoscenza delle polemiche sulla sua presenza e sul suo ruolo nelle Storie di San Francesco e , più in generale, nella decorazione pittorica della Basilica Superiore di Assisi.
Fu a questo punto che ebbi più che mai chiara la coscienza che quell'esperienza eccezionale, anzi unica nella vita di un uomo ,così a lungo auspicata, rischiava di trasformarsi in una catastrofe ed il ricordo di un compleanno memorabile in una inguaribile ferita.
Non mi riusciva infatti di trovare un argomento di conversazione che non apparisse a me stesso noioso, banale o irritante-e pensare che in 20 lunghi anni di frequentazione con le sue opere mi era accaduto più volte di precostituire nell'immaginazione scenari di gratificazione inenarrabile.
Avvertivo chiaramente che la cosa più impellente era tentare di uscire in qualsiasi modo da quello stato di paralizzante afasia, ma -come sempre accade in questi casi- quanto più mi sforzavo di farlo tanto meno ci riuscivo.
Per bloccare il senso di angoscia che cominciava ineluttabilmente a montare mi sforzai di pensare intensamente di essere altrove, di trovarmi in mezzo a quella distesa di colonne dorate e di alberi precocemente fioriti che avevo lasciato il giorno prima, il giorno di Capodanno – di tornare a Selinunte , dove tanti anni prima avevo provato e riprovato sulla sabbia le difficoltà di tracciare una O perfettamente rotonda.
Certamente tanti altri ci si erano provati per gioco ma tanti altri ancora sul serio, a giudicare dal numero di sommi pittori che avevano attinto alla sua opera: Mantegna, Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo, Velasquez, Siqueiros, Picasso…
Mentre mi balenavano questi nomi mi parve di vedere una luce che colpiva distintamente, in successione, come da essi evocata, la Strage degli innocenti, la Resurrezione, il Matrimonio della Vergine, l'Inferno, il Bacio di Giuda, Lucifero, ancora la Strage degli Innocenti e contemporaneamente una voce ripetere in maniera ossessiva la terzina dantesca sostituendo però di volta in volta al nome di Cimabue quello del pittore che aveva copiato o tratto ispirazione dal ciclo degli Scrovegni.
E a quel punto, improvvisamente, senza sforzo, mi vennero alle labbra le parole che avevo tanto a lungo cercato:
"credettero costor ne la pintura
tener lo campo ed ora ha Giotto il grido
sì ch'ei la fama di ciascuno oscura"
Vidi allora Giotto sorridere e il suo sorriso accendere di luce l'aureola del Cristo del Giudizio.


(da "Il sorriso di Giotto e altre storie. ed Mazzotta 2002")

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